WEBINAR
The role of faith-based communities
in the African COVID-19 response
Insieme all’African Consortium for Law and Religion Studies (ACLARS), il G20 Interfaith Forum ha tenuto nel mese di aprile due webinar sull’impatto della pandemia da COVID-19 sui paesi africani. La discussione si è focalizzata soprattutto sullo svolgimento delle campagne vaccinali e sul modo in cui le religioni e le comunità di fede del continente stiano affrontando l’emergenza sanitaria in corso.
I due eventi, tenutisi in due settimane consecutive, hanno visto la partecipazione di speaker provenienti non solo da esperienze accademiche, diplomatiche, e associazioniste diverse, ma anche da realtà geograficamente distanti tra loro, come il Kenya, la Liberia, la Nigeria e il Sud Africa.
Accanto ad un onesto bilancio dei successi e delle sconfitte che stanno accompagnando gli sforzi messi in campo dai leader religiosi per aiutare i rispettivi paesi a fronteggiare la pandemia, gli speaker non hanno mancato di indicare possibili strategie per migliorare il contributo che le comunità di fede possono offrire in situazioni come questa.
Nel primo webinar, incentrato sulle risposte immediate date all’emergenza sanitaria, le riflessioni si sono soffermate sulle lezioni imparate in passato: cosa si è appreso dalle precedenti crisi sanitarie che hanno in diversi momenti afflitto il continente? In che modo queste esperienze sono tornate utili nel contrasto al COVID-19?
Sorella Barbara Brillant, decana della Mother Patern College of Health Sciences di Monrovia (Liberia), ha riflettuto sulla mancanza di una risposta adeguata alla pandemia nei suoi studenti e nel suo staff: «Fino ad oggi», ha detto, «il COVID è stato percepito in modo assai diverso dal virus Ebola. In Liberia, le persone non vedono gli altri morire di COVID e per questo stentano a credere nella reale pericolosità di questo virus; non percependo la concretezza della minaccia, difficilmente ci si può preparare a fronteggiarla». E infatti, ha detto Brilliant, la Liberia, che finora è stata in qualche modo risparmiata dalla pandemia, non ha certo brillato in preparazione: non sono state adottate serie misure precauzionali e l’autorità politica ha deciso di posticipare l’inizio della campagna di immunizzazione, generando non poca incertezza nella popolazione già diffidente nei confronti dei vaccini.
Più in generale, i relatori si sono ritrovati d’accordo nel riconoscere come la crisi pandemica abbia avuto un forte impatto anche sulle situazioni economiche e sociali, spesso già precarie, di tutti i paesi africani. In Mozambico, ad esempio, come ha riportato l’Ambasciatore presso gli Stati Uniti S.E. Carlos Dos Santos, si è assistito ad un raddoppio del numero delle persone considerate vulnerabili, concomitante all’aumento dei contagi. Nonostante il paese avesse cominciato a prepararsi ancora prima di accertare il primo caso di COVID-19 sul territorio nazionale, l’impatto della pandemia è stato decisamente duro. In Mozambico, per fortuna, le organizzazioni religiose e i loro esponenti hanno dato un contributo decisivo al contenimento del contagio, trasmettendo alla popolazione, col proprio esempio, alcune basilari pratiche igieniche e di comportamento.
La necessità di guidare e di educare le persone attraverso il “buon esempio” è stato del resto il fil rouge di tutti gli interventi che si sono susseguiti nei due webinar: infatti, non solo si è evidenziato come le comunità religiose siano capaci di avere maggiore impatto sul territorio, grazie alla loro rete di contatti, ma è stato anche messo in risalto come esse godano di quella fiducia che le popolazioni spesso fanno mancare ai propri governi.
I relatori hanno messo in luce anche aspetti del contrasto alla pandemia che richiedono una maggiore incisività da parte dei leader religiosi. In particolare, nel corso del secondo webinar, è stato rilevato come un coinvolgimento attivo dei capi religiosi, ad esempio attraverso un loro diretto contributo nella campagne di informazione, possa rivelarsi cruciale non solo nel combattere la disinformazione che circola a proposito dei vaccini – e che trova spesso nei social network un veicolo di diffusione assai potente – ma anche il generale senso di sfiducia che le popolazioni africane sembrano provare nei confronti dei vaccini e della loro efficacia. Con un tasso molto basso di vaccinati, la sfida dell’immunizzazione sembra essere del resto un’impresa enorme da affrontare in un continente come l’Africa e a fronte degli immensi problemi tecnici ed infrastrutturali che stanno rallentando la campagna vaccinale – il trasporto del siero a temperature controllate, l’impossibilità diraggiungere comunità isolate o remote, le condizioni già precarie delle strutture ospedaliere (sono solo alcuni dei problemi messi in luce da Rahms Gulam Abbas per il Kenya) – una sola parola contraria ai vaccini da parte di un leader religioso può bastare ad aggravare una situazione già di per sé difficile. In molti casi, dunque, un’adeguata informazione scientifica dei leader religiosi, può fare la differenza, come ha messo in luce uno studio del Joint Learning Institute, condotto sui dati derivanti dall’epidemia di Ebola.
Non potevano esprimere meglio il senso di questi due webinar le parole di Daleen Raubenheimer-Foot, consigliere tecnico di Channels of Hope: «C’è un detto africano che recita: “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme”. Nella lotta al COVID-19 bisogna muoversi insieme, analizzare gli ostacoli e fare fronte comune».
WEBINAR
Artificial Intelligence: Challenges and Opportunities
Mercoledì 5 maggio, il gruppo di lavoro del G20 Interfaith Forum dedicato alla ricerca e all’innovazione per la scienza, la tecnologia e le infrastrutture ha tenuto un webinar sul tema “Intelligenza artificiale: Sfide e opportunità”. L’incontro, utile a raccogliere idee, stimoli e input in vista della redazione delle raccomandazioni che il gruppo di lavoro trasmetterà ai leader del G20 nei prossimi mesi, è stato moderato da Branka Marijan (Project Ploughshares) e ha raccolto gli interventi di Peter Asaro (School of Media Studies, New York), Kanta Dihal (Leverhulme Centre for the Future of Intelligence, Università di Cambridge), John Markoff (Institute for Human-Centered Artificial Intelligence, Università di Stanford) e Selma Šabanović (School of Informatics and Computing, Università dell’Indiana).
I relatori hanno affrontato alcuni importanti interrogativi sollevati dai progressi dell’intelligenza artificiale e della robotica: come possiamo garantire un approccio centrato sull’essere umano nella realizzazione di progetti di intelligenza artificiale? Quali sono gli aspetti di queste tecnologie che più di altri richiedono attente considerazioni etiche e una accorta regolamentazione giuridica? Che ruolo gioca il portato culturale degli sviluppatori di queste tecnologie nelle modalità di applicazione che esse trovano?
Branka Marijan ha aperto la discussione invitando i relatori ad individuare gli aspetti per loro più stimolanti e allo stesso tempo più preoccupanti delle tecnologie basate su sistemi di intelligenza artificiale.
In quanto strumento prodotto dagli esseri umani per incrementare le proprie capacità tecniche, la fascinazione per l’enorme potenziale che l’intelligenza artificiale offre in tutti i suoi campi di applicazione è emersa come elemento comune nelle osservazioni dei relatori, accanto alla riflessione sulle molteplici distorsioni che il progressivo avanzamento tecnologico di questi sistemi può generare.
Ciascun relatore ha evidenziato un particolare aspetto di questo meccanismo.
Dihal, interessata al modo in cui le diverse culture hanno storicamente immaginato e rappresentato le società incentrate sull’IA (e quindi anche sviluppato, applicato e regolamentato l’uso di quelle tecnologie), ha evidenziato come all’interno dell’immaginario comune sull’IA (per quanto spesso distorto o estremizzato in senso largamente utopico o terribilmente distopico) vi possano essere disallineamenti nella percezione degli esiti positivi o negativi che il nostro rapporto con la tecnologia può avere a seconda del nostro contesto sociale di appartenenza. Elemento, questo del divario socioculturale, sottolineato anche da Šabanović in relazione ai valori che stanno dietro alla progettazione delle macchine di cui serviamo: secondo la ricercatrice, è necessario che questo campo di studi, ora dominato da progettisti, ideatori e sviluppatori provenienti dai cosiddetti ambienti “W.E.I.R.D.” (Western, Educated, Industrialized, Rich, and Democratic), si apra ad una maggiore inclusività e diversità, proprio per trasferire, in questi sistemi, valori altri rispetto a quelli delle culture dominanti.
Markoff e Asaro si sono invece soffermati sulle implicazioni etiche derivanti dall’uso sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale in ambiti tradizionalmente associati alle capacità cognitive e decisionali umane. Se Markoff ha messo in guardia rispetto ai rischi intrinseci posti dalla sempre maggiore sofisticatezza dei sistemi di analisi, elaborazione e applicazione del linguaggio da parte dei sistemi basati sull’IA, Asaro ha fatto notare quanto di distorto possa essere generato dall’idea di considerare questi strumenti come “specchio tecnologico di noi stessi”, ad esempio investendo l’IA di processi decisionali che non possono invece prescindere dalla presenza di una agente morale, e quindi umano.
I relatori hanno poi affrontato la questione della regolamentazione di queste tecnologie e della loro applicazione, con particolare riferimento alla bozza di regolamento sull’intelligenza artificiale recentemente varato dalla Commissione Europea (il primo nel suo genere a regolamentare compiutamente tale tecnologia). Se da un lato è stata riconosciuta l’importanza e la necessità che un inquadramento normativo di questo tipo sia posto in essere e si è espresso l’auspicio che il regolamento europeo, in particolare, possa stimolare un dibattito in questo senso a livello globale (Markoff), dall’altro si è discusso del possibile reale impatto che queste regolamentazioni possono avere nell’immediato tanto nel generare maggiore fiducia da parte dei cittadini verso queste tecnologie (Dihal) quanto nel mettere le nostre società al passo con i mutamenti che la loro applicazione sta già provocando al loro interno (Asaro).
Un ultimo spunto di riflessione è stato infine offerto ai relatori dalla richiesta della moderatrice di mettere in relazione intelligenza artificiale e religione, e di rispondere in particolare alla provocatoria affermazione secondo cui l’IA rappresenta una religione a sé stante.
A questo proposto, Dihal ha svolto un interessante parallelismo mostrando contatti tra IA e religione in almeno tre punti: l’idea di una “eccezionalità” dell’uomo rispetto alle altre specie animali (spesso collegata all’uso di strumenti che, attraverso un progressivo perfezionamento, permettono all’uomo di raggiungere l’apice del proprio potenziale); il principio della creazione, in cui l’uomo stesso gioca il ruolo del demiurgo; il credo nella realizzazione di una singolarità tecnologica attraverso cui gli esseri umani trascenderanno la propria mortalità.
Šabanović, da parte sua, ha aggiunto che sia l’IA che la religione esistono per migliorare le nostre comunità e lo stato del mondo in generale e che nessuna delle due può funzionare efficacemente seguendo semplicisticamente una serie di regole predeterminate.
WEBINAR
Ahead of the G20:
(Re-)Building a Post-Covid Society
pursuing the Sustainable Development Goals
Giovedì 6 maggio il G20 Interfaith Forum (IF20), assieme a undici organizzazioni partner, ha tenuto il primo incontro della sua serie di webinar “Ahead of the 2021 Italy G20 Summit: (Re-)Building a Post-Covid Society Pursuing the Sustainable Development Goals”. Fra le organizzazioni partner, la Fondazione per le scienze religiose (FSCIRE); la Baha’i International Community; la European Evangelical Alliance; la European Platform Against Religious Intolerance and Discrimination; la Fondazione Bruno Kessler; l’International Center for Law and Religion Studies della Brigham Young University; la King Hamad Chair for Inter-Faith Dialogue and Peaceful Co-existence dell’Università La Sapienza di Roma; il Centro Studi e Rivista Confronti; l’Ufficio per i rapporti con l’Unione Europea e per le relazioni internazionali della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni; l’Università di Siena e World Faith Development Dialogue. Sono intervenuti: W. Cole Durham, presidente dell’associazione G20 Interfaith e fondatore dell’International Center for Law and Religion Studies alla Brigham Young University; Katherine Marshall, vicepresidente dell’Associazione G20 Interfaith e direttrice esecutiva del World Faiths Development Dialogue; Alberto Melloni, segretario di FSCIRE e organizzatore del G20 Interfaith Forum in Italia. Marco Ventura (FBK) e Pasquale Annicchino (European University Institute) hanno partecipato in qualità di moderatori.
L’incontro, basandosi sui punti di vista dei tre leader del G20 Interfaith Forum 2021 e sulla loro interpretazione dei ruoli essenziali che fede e politica ricoprono nel perseguimento di progressi misurabili, si è focalizzato sul tema della implementazione concreta degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili (OSS) per costruire un mondo post-COVID migliore. Anticipando gli incontri del G20 Summit e del G20 Interfaith Forum di quest’autunno in Italia, il webinar ha cercato di offrire una visione d’insieme su importanti obiettivi e interventi necessari legati alla religione e alle tre aree di interesse della Presidenza italiana del G20: People, Planet and Prosperity.
Il Professor Marco Ventura, che ha agito da moderatore della discussione, ha introdotto il tema dell’incontro e ha chiesto ad ogni partecipante di esporre la propria idea su come ottenere una società post-COVID più giusta, sana ed equa, in riferimento agli OSS.
Katherine Marshall ha aperto il proprio intervento riassumendo la storia e lo scopo fondamentale degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, chiamati anche “obiettivi globali” o “agenda 2030” e approvati unanimemente dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015. Inizialmente concepiti per disciplinare e convogliare l’attenzione pubblica sui risultati del lavoro svolto dalle Nazioni Unite, la maggior parte dei 17 obiettivi ha come traguardo per il proprio raggiungimento l’anno 2030. Marshall ha denunciato il ritardo con cui ci avviciniamo al termine del programma d’azione, ritardo reso ancora più marcato dall’intervento della pandemia.
Per quanto riguarda il G20 Interfaith Forum, Marshall ha esposto le due sfide principali da affrontare. Nonostante gli OSS, con 17 obiettivi e 169 target, siano complessi, la religione svolge un ruolo in ognuno di essi. L’IF20 deve anzitutto mettere in luce l’importanza e il lavoro della sua straordinaria rete, che riunisce le religioni di tutto il mondo. «Parliamo di ricostruire meglio, di ricostruire più sostenibilmente e più equamente, e questo è anche uno degli obiettivi del G20 Interfaith Forum: utilizzare gli OSS per fare in modo che il mondo post-COVID sia un mondo più responsabile e più equilibrato».
Alberto Melloni si è concentrato sul crescente estremismo alimentato dal COVID-19 e sulla necessità che l’imminente Interfaith Forum italiano aggiunga alle tre parole chiave People, Planet, Prosperity una quarta “P”: Peace: «La pandemia ci ha insegnato che siamo molto più vulnerabili e incapaci di reagire di quanto pensassimo. Alcuni hanno trovato nella pandemia un’opportunità per incrementare la coesione e il dialogo, mentre altri vi hanno trovato un’opportunità per attaccare e ostracizzare gli altri. Le persone nella ‘zona grigia’, che si colloca fra questi due estremi, sono quelle su cui dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Dobbiamo aiutarle a vedere il proprio futuro con meno pessimismo».
Ai relatori è stato poi chiesto quale sia, secondo loro, il ruolo specifico di IF20 all’interno del contesto del G20.
Melloni ha risposto alla domanda delineando i rapporti attuali fra il G20 Interfaith Forum e la Presidenza italiana del G20; ha quindi sottolineato l’abilità della religione nell’essere contemporaneamente separata da ma anche interconnessa con tutte le aree che compongono la struttura del G20, riuscendo a connettere efficacemente le persone ai politici.
Durham ha spiegato i due livelli principali su cui l’IF20 agisce: raccomandare specifiche priorità ai leader del G20 all’interno di processi stabiliti, fornendo una prospettiva nuova e agile in tempi di crisi o calamità impreviste come quella che stiamo vivendo, e agire come “rete di reti”, connettendo e valorizzando il ruolo di alcune delle istituzioni religiose più importanti al mondo.
Marshall ha riportato la conversazione al punto di partenza, elencando quelli che a suo parere possono essere i contributi concreti che comunità e leader religiosi possono fornire al contenimento della crisi pandemica in corso, e tra questi: la promozione di un’etica globale che si prenda cura dei dimenticati e dei più vulnerabili; l’aiuto dato al G20 nel passare dai propositi all’azione; lo svolgimento di un ruolo essenziale nella promozione della sanità pubblica e di una adesione quanto più vasta possibile alla campagna di vaccinazione.
In conclusione, Marco Ventura ha chiesto ai partecipanti dei commenti finali sul tema, in risposta ad un mondo e una prospettiva internazionale in continua evoluzione.
Prendendo la parola, Durham ha parlato della necessità dell’IF20 di continuare a dilatare i propri orizzonti, magari ricercando la partecipazione dei giovani, approfondire il dialogo a distanza attraverso i nuovi mezzi di comunicazione che le nuove tecnologie ci offrono e stabilendo nuovi collegamenti istituzionali. «Stiamo affrontando nuove sfide», ha detto Durham. «Vedremo ancora più all’opera differenze fra civiltà. Dobbiamo sfruttare il pluralismo istituzionale e avvalercene per ottenere una prospettiva più ricca mentre prospettiamo possibili soluzioni. E in ognuno di questi processi, la religione può fare da trampolino ai nostri progressi dandoci una visione più elevata delle questioni che affrontiamo».
Marshall, invece, ha accennato alla crescente tendenza negli Stati Uniti, particolarmente visibile negli ultimi anni, a valorizzare la diversità, specchio della straordinaria molteplicità di comunità religiose che compongono il paese, ciascuna con un ruolo specifico da ricoprire nella società americana. Pur riconoscendo quello che ha definito il «paradosso pratico» del G20 — cioè la crescente agilità e abilità nel lavorare come gruppo ristretto, ma con lo svantaggio di escludere numerose voci mondiali — Marshall si è detta comunque fiduciosa nel fatto che l’IF20 possa continuare ad avere un ruolo nell’assicurare che voci importanti ma spesso trascurate dell’universo religioso mondiale (come per esempio quelle delle comunità africane, indigene e delle minoranze religiose) siano ascoltate e che anche i più vulnerabili siano oggetto di costante attenzione.